La Suprema Corte conferma, ancora una volta, che anche gli interessi convenzionali di mora, come quelli corrispettivi, devono sottostare alla regola generale per cui, se pattuiti ad un tasso eccedente quello stabilito dall’art. 2, comma 4, I. 7.3.1996 n. 108, vanno qualificati ipso iure come usurari.
Per cui sarà nulla la clausola, con la quale si convengono gli interessi moratori, che ab origine, superano il tasso soglia, relativo alla categoria di operazione, cui fa riferimento il predetto patto di interessi moratori contrattualizzati.

Questo principio è già stato reiteratamente affermato sia dalla Cassazione in sede civile e penale, sia dalla Corte costituzionale, “Nondimeno la constatazione di come tale principio resti non infrequentemente trascurato da parte dei giudici di merito; ed il rilievo di come esso appaia sostanzialmente incompreso con riferimento alla prassi seguita da parte degli organi amministrativi preposti a dare attuazione alle prescrizioni di cui all’art. 2 della I. 7.3.1996 n. 108 .., hanno indotto il Supremo Collegio a ripercorrerne il fondamento, la portata e le conseguenze della normativa in esame.

Gli ermellini, pur affermando l’identica funzione sostanziale degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, tuttavia ribattendo le medesime conclusioni alle quali gli scrupolosi ragionamenti sviluppati nel corpo della sentenza certamente portano, con una succinta quanto manifesta affermazione, quasi decontestualizzata dalloggetto della contestazione sottoposta al vaglio del collegio, hanno ritenuto che l’applicazione dell’art. 1815, comma secondo, cod. civ. agli interessi moratori usurari non sia sostenibile, atteso che la norma si riferisce solo agli interessi corrispettivi, e considerato che la causa degli uni e degli altri è pur sempre diversa, il che rende ragionevole, in presenza di interessi convenzionali moratori usurari, di fronte alla nullità della clausola, attribuire, secondo le norme generali, al danneggiato gli interessi al tasso legale.

Con questa ordinanza la Suprema Corte sembra reinterpretare l’altra pronuncia delle Sezioni Unite n.24675 del 19 ottobre 2017.