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Sexting e minori: diffondere un selfie erotico è sempre reato

Con la sentenza n. 11675 del 2016, la Suprema Corte aveva affermato che nella condotta di chi trasmette ad altri delle immagini, riprese in autoscatto (selfie) da un minorenne, non sussisteva l’ipotesi di cessione di materiale pedopornografico.

L’art. 600-ter c.p. disciplina, infatti l’utilizzo del minore da parte di un terzo che è un elemento costitutivo del reato stesso e una contraria interpretazione integrerebbe una opzione ermeneutica in malam partem.

La Suprema Corte, nella sentenza indicata, respinse il ricorso del Procuratore della Repubblica contro la sentenza del Tribunale per i minorenni dell’Abruzzo, che aveva dichiarato il non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine ai reati loro ascritti (art. 600-ter c.p., comma 4 e art. 600-quater c.p.)., perchè il fatto non sussiste. In particolare, il Collegio, rileva che l’art. 600-ter c.p., comma 4, sanziona la cessione di materiale pedopornografico.

In quel caso, le immagini erano state riprese in autoscatto direttamente dalla minore, di propria iniziativa, e dalla stessa volontariamente cedute, per tale motivo, il Tribunale decise che la giovane non poteva ritenersi utilizzata da terzi soggetti e secondo la Cassazione, la decisione del Tribunale era corretta e condivisibile, rigettando il ricorso proposto dal Procuratore.

Va sottolineato che l’art. 600-ter, comma 4 c.p. punisce le condotte di offerta o cessione, anche a titolo gratuito, di materiale pedo-pornografico, al fine di colpire altresì gli scambi intercorrenti tra i consumatori finali del materiale stesso, così da colpire e ridurre la stessa domanda di tale materiale.

La Corte ha infatti precisato che la divulgazione o distribuzione di materiale pedopornografico richiede l’accessibilità ad una indistinta e indeterminata cerchia di persone attraverso l’inserimento in un sito o l’utilizzo di altri strumenti a ciò idonei, il che non avviene nel caso di un dialogo “privilegiato” tra singoli utenti.

Per la Suprema Corte, le norme del codice penale non puniscono la diffusione di “materiale pornografico minorile ex se, quale ne sia la fonte, anche autonoma, ma soltanto materiale alla cui origine vi sia stato l’utilizzo di un minore, necessariamente da parte di un terzo”.

Su queste basi, la sentenza affermava che, con riferimento alla previsione di cui al comma 4 dell’art. 600-ter c.p., è del tutto corretta l’interpretazione offerta dal Tribunale per i minorenni, in ragione della quale la punibilità della cessione è subordinata alla circostanza che il materiale pornografico sia stato realizzato da terzi, utilizzando minori, senza che dunque le due figure possano in alcun modo coincidere.

Vale a dire che il reato si attua non tanto per il materiale pornografico raffigurante un minore tout court, indipendentemente da chi e come l’abbia prodotto, quanto soltanto quello che sia stato prodotto da terzi utilizzando un minore di diciotto anni.

Successivamente la Corte di cassazione con la sentenza n. 39039 del 2018 aveva invece sancito che il reato di pornografia minorile scattava per chi inducesse, con minacce, un minorenne, nel caso specifico una ragazza, ex-fidanzata dell’imputato, a farsi selfie erotici per poi inviarli ad un amico su Facebook.

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Sentenza Cassazioni Sezioni Unite n. 51815-2018

Sentenza Cassazione n.5522-2020