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Protocollo lavoro CoVid19: come prepararsi per affrontare la “Fase2” senza incorrere in violazioni civili, penali ed amministrative

DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18 
Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico 
per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19.
 (20G00034) (GU Serie Generale n.70 del 17-03-2020)

 Art. 42 
 
                        (Disposizioni INAIL) 
 
  1. In considerazione dell'emergenza epidemiologica da  COVID-19,  a
decorrere dal 23 febbraio 2020 e sino al 1 giugno  2020,  il  decorso
dei termini di  decadenza  relativi  alle  richieste  di  prestazioni
erogate dall'INAIL e' sospeso di diritto e riprende a decorrere dalla
fine del periodo  di  sospensione.  Sono  altresi'  sospesi,  per  il
medesimo periodo e per le stesse prestazioni di cui  al  comma  1,  i
termini di prescrizione. Sono, infine, sospesi i termini di revisione
della rendita  su  domanda  del  titolare,  nonche'  su  disposizione
dell'Inail, previsti dall'articolo 83 del D.P.R. n.1124 del 1965  che
scadano nel periodo indicato al comma 1. Detti termini  riprendono  a
decorrere dalla fine del periodo di sospensione. 
  2. Nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2)  in
occasione di lavoro,  il  medico  certificatore  redige  il  consueto
certificato di infortunio e lo invia  telematicamente  all'INAIL  che
assicura, ai sensi delle vigenti  disposizioni,  la  relativa  tutela
dell'infortunato.  Le  prestazioni  INAIL  nei  casi   accertati   di
infezioni da coronavirus in occasione di lavoro  sono  erogate  anche
per il periodo di quarantena o di permanenza  domiciliare  fiduciaria
dell'infortunato con la conseguente astensione dal lavoro. I predetti
eventi infortunistici gravano sulla gestione assicurativa e non  sono
computati ai fini della determinazione  dell'oscillazione  del  tasso
medio per andamento infortunistico di cui agli articoli 19 e seguenti
del  Decreto  Interministeriale  27  febbraio   2019.   La   presente
disposizione si applica ai datori di lavoro pubblici e privati. 

L’elenco delle attività produttive consentite ad operare, è andato progressivamente ampliandosi, sia in base agli aggiornamenti del decreto, ma anche per “non sospensione” o “silenzio/assenso” da parte dei Prefetti.

Le modalità e i criteri di ripartenza, dovevano essere scaglionati permettendo il rientro graduale da parte dei lavoratori, mentre invece la  “Fase 2” , che si sarebbe dovuta avviare in modo graduale, dopo le indicazioni da parte dei comitati tecnici, in accordo con Governo, scienziati e Parti sociali, sembra essere già partita nelle fabbriche.

Molti, quindi, i lavoratori, pronti alla prosecuzione delle attività lavorative o al riavvio di quelle attività sospese dalla fine di febbraio.

Il giorno 24 aprile 2020, è stato integrato il “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro” sottoscritto il 14 marzo 2020 su invito del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro dell’economia, del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della salute, che avevano promosso l’incontro tra le parti sociali, in attuazione della misura, contenuta all’articolo 1, comma primo, numero 9), del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020, che – in relazione alle attività professionali e alle attività produttive – raccomanda intese tra organizzazioni datoriali e sindacali.

Il Protocollo condiviso, divenuta norma nei contenuti, per specifica volontà del legislatore con il DPCM del 22 marzo (decreto oggi sostituito dal DPCM del 10 aprile), ha realizzato, regole condivise al fine di porre in essere “misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale”.

Indicate le regole operative,si è avviato il processo di elaborazione e attuazione del Protocollo di sicurezza anti-contagio, che segue le prescrizioni del legislatore e delle indicazioni dell’autorità sanitaria.

L’obiettivo primario è quello del contrasto al COVID-19, per garantire condizioni tali da assicurare, agli occupati, livelli di tutela della salute, nelle realtà lavorative, attraverso l’impegno del Comitato interno (art. 13 del protocollo) .

Il Protocollo aziendale anti-contagio, si è quindi confermato la “misura urgente” che si è inserita, quale regola principale, nelle realtà lavorative, apportando quelle procedure volte, a fronteggiare il possibile contagio.

Con l’avvio della “Fase 2” , considerato che dovremo “convivere” con il rischio di contagio, è ovvio che occorre intervenore in modo strutturale nelle realtà lavorative, non solo con nuove regole o procedure, ma agendo in tutti quegli aspetti che riguarderanno i processi produttivi, l’organizzazione del lavoro, gestione degli spazi, il lay-out dei luoghi di lavoro, oltre ad inserire nuove attrezzature necessarie per contenere il contagio.

Le imprese devono adottare il Protocollo di Regolamentazione all’interno dei propri luoghi di lavoro e applicano le ulteriori misure di precauzione aggiornate – da integrare con altre equivalenti o più incisive secondo le peculiarità della propria organizzazione, previa consultazione delle Rappresentanze Sindacali Aziendali – per tutelare la salute delle persone presenti all’interno dell’azienda e garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro.

La Fase 2 appena avviata rende indispensabile per le aziende attuare strumenti di prevenzione, per la salute dei dipendenti in primis, ma anche per fronteggiare in modo efficace, un domani, eventuali addebiti per gli infortuni da contagio che dovessero approdare nei Tribunali.
I contagi accertati di infezione da Covid-19 avvenuti “in occasione di lavoro” sono tutelati, ai sensi dell’art. 42 co. 2 D.L n. 18/2020 c.d. Cura Italia, a tutti gli effetti come infortuni sul lavoro.

Per gli eventi , nei quali l’episodio che ha determinato il contagio non sia noto, non potendosi presumere che esso sia avvenuto a causa delle mansioni svolte dal lavoratore, dovrà trovare applicazione l’ordinaria procedura di accertamento medico-legale che si avvale dei seguenti elementi: epidemiologico, clinico, anamnestico e circostanziale.

I lavoratori potranno, in tal caso, far riferimento alla specificità delle mansioni e del lavoro svolto, alla diffusione del virus nella località o nell’azienda dove hanno operato e agli altri fatti noti dai quali sia possibile trarre presunzioni gravi, precise e concordanti, ai fini della prova presuntiva del rapporto causale o, meglio, di occasionalità della patologia da COVID-19 con l’attività protetta.

Il periodo di quarantena è interamente coperto dall’INAIL, oltre al periodo eventualmente successivo, dovuto a prolungamento di malattia che determini un’inabilità temporanea assoluta al lavoro.

Ai sensi dell’art. 2087 cod.civ., invero, il datore di lavoro ha l’obbligo di prevenire tutti i rischi presenti all’interno dell’organizzazione che possono mettere in pericolo la salute e la sicurezza dei lavoratori; la norma impone, altresì, il costante adeguamento degli strumenti di protezione in relazione ai progressi tecnologici, così da assicurare ai dipendenti la protezione tempo per tempo più adatta.

Naturalmente, l’adempimento di tali obblighi da parte del datore di lavoro dovrà tener conto della specificità di ciascuno scenario aziendale e la violazione degli stessi comporta una responsabilità contrattuale, con conseguente diritto per il lavoratore ad ottenere il risarcimento del danno. Non è, peraltro, escluso un concorso anche di responsabilità extracontrattuale, posto che il diritto alla salute è un diritto soggettivo assoluto.

Il datore di lavoro potrebbe essere soggetto, altresì, a sanzioni amministrative pecuniarie (articolo 55 co. 4 lett. h Decreto Legislativo n. 81/2008).

A rispondere penalmente, dunque, sarà il soggetto che nel contesto aziendale ricopre una posizione di garanzia, sul quale grava l’obbligo giuridico di impedire l’evento, ovvero, nel caso di specie, il contagio da COVID-19 nell’ambiente di lavoro.

Nel caso in cui dal contagio avvenuto sul luogo di lavoro, infatti, faccia seguito la morte del lavoratore, nonché una prognosi della malattia di durata superiore a 40 giorni, potrebbe essere configurata una responsabilità amministrativa dell’ente ex art. 25-septies D.Lgs. n. 231/2001.

La colpa  del datore di lavoro sarebbe configurabile non solo a seguito della violazione dell’art. 2087 cod.civ., ma anche a seguito della mancata predisposizione di un’efficiente sorveglianza sanitaria sui lavoratori (ex art. 41, D. Lgs. n. 81/2008), nonché nel caso in cui non abbia provveduto a valutare i rischi derivanti dall’esposizione agli agenti biologici presenti sul luogo di lavoro (ex art. 271, D. Lgs. n. 81/2008).

In uno scenario  come quello nel quale le imprese sono costrette a operare in ragione dell’attuale crisi sanitaria, il rischio di attuare misure non coerenti, in tema di sicurezza è concreto. E ciò anche in caso di rispetto delle precauzioni imposte dal Protocollo nazionale anti-contagio integrato in data 24 aprile 2020.
Con la circolare del Ministero degli Interni del 2 maggio 2020 si evidenzia:

Attività produttive industriali e commerciali.
Con riguardo allo svolgimento delle attività produttive industriali e commerciali, l’art. 2 del decreto in argomento amplia il novero delle attività consentite, da una parte, aggiungendo nuovi codici Ateco rispetto a quelli contenuti nell’allegato 3 al d.P.C.M. 10 aprile 2020 e, dall’altra, ricomprendendo ulteriori attività all’interno delle tipologie identificate dai codici Ateco già presenti.
Per effetto di tale nuova elencazione, risultano pertanto comprese nel citato
allegato 3 anche quelle attività la cui prosecuzione, ai sensi del d.P.C.M. 10 aprile 2020, era sottoposta al sistema della preventiva comunicazione al Prefetto.
L’art. 2, comma 1, fa salvo il potere del Ministro dello sviluppo economico, di
modificare con proprio decreto, sentito il Ministro dell’economia e delle finanze, l’elenco dei codici di cui all’allegato 3.
Il comma 6 del citato art. 2 subordina la prosecuzione di tutte le attività consentite al rispetto dei contenuti del protocollo di sicurezza negli ambienti di lavoro,
sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, del protocollo di sicurezza nei cantieri, anch’esso sottoscritto il 24 aprile 2020, e del protocollo di sicurezza nel settore del trasporto e della logistica del 20 marzo 2020, eliminando ogni altra forma di comunicazione o autorizzazione preventiva.
Il sistema della verifica della sussistenza delle condizioni richieste per la
prosecuzione delle attività aziendali, basato sulle comunicazioni degli interessati ai Prefetti, previsto nella previgente normativa, viene, infatti, sostituito con un regime di controlli sull’osservanza delle prescrizioni contenute nei protocolli richiamati in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro.
Al riguardo, le SS.LL. vorranno, nell’ambito del coordinamento e della
pianificazione delle attività finalizzate a garantire un’attenta vigilanza sull’attuazione delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza da Covid-19 all’interno delle aziende, programmare specifici servizi di controllo. A tal fine, potranno essere costituiti nuclei a composizione mista che prevedano l’apporto, in sede di verifica e accertamento, nell’ambito delle rispettive competenze, di personale delle articolazioni territoriali del Corpo Nazionale dei Vigili del fuoco, dell’Ispettorato nazionale del Lavoro e del Comando carabinieri per la tutela del lavoro, nonché delle Aziende Sanitarie Locali.
Con riguardo alla normativa applicabile in sede di controlli, si precisa che l’art.
2, al comma 6, nel fare espressa menzione dei contenuti dei tre citati protocolli, attribuisce alle prescrizioni ivi previste la natura di misure di contenimento del contagio, con la conseguenza che la loro violazione comporta l’applicazione del sistema sanzionatorio previsto dall’art. 4 del decreto legge 25 marzo 2020, n.19, che prevede sanzioni amministrative pecuniarie e accessorie, salvo che il fatto contestato costituisca reato.

La verifica dell’eventuale sussistenza degli estremi di un illecito penale dovrà
fare riferimento al quadro normativo in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro delineato dal decreto legislativo n. 81/2008.
Fuori da tali ipotesi, potranno trovare applicazione, come detto, le varie
disposizioni contenute nel citato art. 4 del D.L. n.19/2020, in ordine alle quali – nel fare rinvio alle indicazioni fornite con circolari di questo Gabinetto del 26 e del 29 marzo 2020, nonché con circolari del 27 e del 28 marzo 2020 del Dipartimento della pubblica sicurezza – si richiama l’attenzione sulla previsione di cui al comma 4 che, per talune ipotesi di violazione delle misure dettate per evitare la diffusione del contagio, configura la possibilità per l’organo procedente, già all’atto dell’accertamento, di disporre la chiusura provvisoria dell’attività per una durata non superiore a 5 giorni. 

Alle porte della ripresa delle attività nella c.d. Fase 2, in un contesto scientifico e normativo a dir poco incerto, è evidente che la posizione dei datori di lavoro risulti essere estremamente gravosa in ragione delle responsabilità delle quali sono onerati. Poste tali premesse, non sorprenderebbe affatto dover assistere, con il crepuscolo della fase emergenziale, a una vera e propria proliferazione di giudizi sul tema, tutti volti a far accertare la responsabilità datoriale in caso di contagio del lavoratore.
E così, come spesso accade quando il legislatore e l’esecutivo non assolvono compiutamente al proprio ruolo, il compito di fare chiarezza sul bilanciamento dei diritti e doveri datoriali ricadrà sulle Corti del Lavoro, chiamate a fornire indicazioni più puntali in relazioni alle numerose variabili fattuali e prognostiche (momento del contagio, nesso di causalità, misure di prevenzione poste in essere dal datore di lavoro) da tenere in considerazione.
È questo, dunque, il momento per le aziende di non farsi trovare impreparate, potenziando i sistemi di sicurezza preesistenti e implementandone di nuovi, in maniera coerente con quanto previsto dalle norme e dalle linee guida a oggi presenti nello scenario normativo. Solo così potranno, da una parte, assolvere a pieno al proprio dovere di tutela della salute dei propri lavoratori e, dall’altra, munirsi degli strumenti più adeguati a difendere in futuro il proprio operato nelle aule di tribunale.

I principi essenziali di precauzione, resteranno sicuramente la distanza minima di sicurezza interpersonale e l’igiene costante.

Nelle realtà lavorative,ci sarà quindi la necessità di un’adeguata regolamentazione, come anche la definizione di procedure, che non solo provvedono a salvaguardare la tutela della salute dei lavoratori, ma anche la sicurezza.

Oggi il Comitato aziendale, istituito dal protocollo, deve necessariamente avviare un processo di transizione tra quanto previsto nel Protocollo stesso di sicurezza anti-contagio, al Documento di Valutazione dei Rischi (DVR), rivalutando anche il rischio, alla luce delle modifiche e aggiornamenti che saranno sicuramente apportati dall’emergenza epidemiologica.

E’ importante comprendere, confermando la natura di rischio biologico generico, in ambito lavorativo, che gli interventi previsti di contrasto al contagio, dovranno diventare strutturali.

Occorrerà obbligatoriamente che sia verificata, la coerenza con le procedure e le regole organizzative, del contesto lavorativo in cui queste sono calate, provandole ad inserire nel DVR e quindi aggiornandolo, rendendolo rispondente e adeguato, alla “fotografia dell’esistente” (art.29, co.3, DLGS 81/08 s.m.).

Le disposizioni normative attuali, prevede l’intervento da parte delle Forze di polizia e di Forze armate, che possono infliggere sanzioni amministrative (art.4, commi 1 e 9 D.L. n.19 del 25 marzo u.s. in via di conversione), sul mancato rispetto dell’osservanza delle misure di urgenza previste dai Protocolli aziendali di sicurezza anti-contagio.

Con circolare del Ministero dell’Interno del 14 aprile u.s., potrà essere chiesta la collaborazione delle ASL, dell’Ispettorato del Lavoro, per il controllo sui datori di lavoro delle modalità di attuazione delle procedure organizzative e gestionali previste dal Protocollo del 14 marzo u.s., che accerteranno l’eventuale inosservanza delle precauzioni dettate.

In merito all’attuazione dei contenuti del Protocollo, coerentemente alla normativa  prevenzionistica, in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, riconducibili  alla valutazione dei rischi e all’aggiornamento del DVR, l’apparato sanzionatorio del DLGS 81/08 s.m. sembrerebbe quello applicabile in merito.

La valutazione dei rischi, diciamo aggiornata o adeguata,  quale valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività…” (art.2, co.1, lett. q, DLGS 81/08 s.m.), dovrà, almeno, tenere conto dei seguenti punti.

DPI (dispositivi di protezione individuali)

Chi indossa i DPI deve essere adeguatamente protetto, sulla base delle conoscenze scientifiche a disposizione e per le esigenze lavorative, assicurando che non abbia problemi di:

–        sudorazione e possa inspirare senza troppo fatica, sulla base della durata del ciclo/turno/orario di lavoro,

–        non subisca conseguenze alla cute, non abbia problemi di comfort, aderenza, misure, copertura rispondente alle proprie dimensioni,                  compatibilità fra DPI e/o occhiali da vista, assicurare un ricambio adeguato e della pulizia ed igiene dei DPI

–        nell’utilizzo dei DPI, che i rischi da prevenire, non devono comportare di per sé un rischio maggiore;

–        nuova valutazione del rischio da stress lavoro-correlato, tenendo conto dell’aggravio determinato dall’utilizzo giornaliero dei DPI;

–        valutazione del microclima degli ambienti, assicurandosi che chi indossa i DPI non abbia problemi di affaticamento.

ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO (ACCESSO/TRANSITO/USCITA E SPAZI COMUNI)

Sulla base della riorganizzazione e contingentamento delle presenze, dello svolgimento di mansioni, bisosgna considerare:

–        presenza simultanea e/o collaborativa di almeno due persone;

–        rischi rappresentati dal lavoro in solitudine;

–        che gli eventuali spazi riorganizzati, adibiti a luoghi di lavoro hanno i presidi di sicurezza adeguati;

–        che gli orari di lavoro ed i ritmi di lavoro, per lo svolgimento delle attività, in relazione alla riduzione delle presenze, non siano eccessivamente gravosi;

–        ai fini del rispetto della distanza minima, una necessaria ri-valutazione delle postazioni di lavoro negli uffici e delle postazioni, considerando una nuova -progettazione del lay-out degli spazi;

–        la verifica dell’efficienza dei mezzi di comunicazione interna, in caso di modifiche delle postazioni di lavoro, in funzione dell’aumento delle distanze tra colleghi di lavoro presneti;

–        i controlli su filtri dell’aria, ascensori, impianti di condizionamento;

–        modificare il DUVRI (documento valutazione rischi da interferenza) per le imprese di pulizia, per la sanificazione, servizi di guardiania, applicando il Protocollo di sicurezza del committente con quello dell’azienda appaltatrice, riportandolo nel DUVRI.

FORMAZIONE

Il periodo di emergenza ha portato alla deroga temporanea, dello svolgimento della formazione professionale per tutti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Al momento, non essendo intervenute modifiche alla normativa vigente, occorrerà rispettare quanto previsto per lo svolgimento dei corsi di formazione obbligatori.

In assenza di specifiche disposizioni, nessun riconoscimento come formazione base/aggiornamento obbligatori, in materia di salute e sicurezza sul lavoro, è stata previsto per le lezioni “frontali” a distanza, sia interattive che registrate (Linee applicative del 25 luglio 2012).

In tal senso, dovranno essere ripensate le modalità di svolgimento dei percorsi formativi, garantendo il contingentamento e la distanza minima interpersonale.

Dovranno essere garantiti, ai fini dello svolgimento dello specifico ruolo/funzione, interventi di informazione adeguata sui rischi specifici al quale il lavoratore potrà essere esposto nello svolgimento della sua mansione/funzione (nel rispetto di quanto previsto dall’art.36 del DLGS 81/08 s.m.).

SORVEGLIANZA SANITARIA

Bisognerà fare particolare attenzione alla tutela dei lavoratori che si trovano in situazione di particolare fragilità.

Coloro che siano affetti da patologie o che si trovano in condizioni particolari (malati oncologici, gli immunodepressi, affetti da pneumologie, appartenenti a categorie vulnerabili – over65),sono maggiormente esposti alle problematiche legate al contagio da COVID-19.

Il nuovo Protocollo integrato, prevede a carico del medico competente, la segnalazione in azienda di casi riconducibili a condizione di fragilità.

Inoltre, il Medico Competente applicherà le indicazioni delle Autorità Sanitarie. Il Medico Competente, in considerazione del suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglia sanitaria, potrà suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori.

Nel caso il lavoratore fragile, non sia già soggetto a sorveglianza sanitaria o le sue problematiche di salute non siano messe a conoscenza del medico competente, perché non correlate all’occupazione, risulta notevolmente complicato venire a conoscenza di tali condizioni.

Ad esempio, l’età avanzata, non rappresenta motivi correlati all’idoneità alla mansione, il Comitato e gli attori della prevenzione aziendale, RSPP e RLS, devono mettere in evidenza la situzione, al fine di individuare modalità di tutela della persona (es. smart working o congedi)

In assenza al momento di indicazioni precise, sarebbe opportuno suggerire, ai lavoratori che si trovino in condizioni di fragilità, non evidenziata dal medico competente, di richiedere visita medica straordinaria.

Tra gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente, ai sensi dell’art. 18, co.1, lett. c) vi è il tenere conto delle capacità e delle condizioni dei lavoratori, in rapporto alla loro salute e alla sicurezza, nell’affidare loro i rispettivi compiti e, ai sensi dell’art. 15, co.1, lett. m), quale misura generale di tutela, l’allontanamento del lavoratore dall’esposizione a rischio per motivi inerenti la sua persona, prevedendo il suo adibirlo, valutando le possibilità, ad altra mansione.

Il In questo aggiornamento del Protocollo, viene ribadita la necessità di favorire il confronto preventivo con le Rappresentanze Sindacali presenti nei luoghi di lavoro, e per le piccole imprese le Rappresentanze Territoriali come previsto dagli accordi interconfederali, affinché ogni misura adottata possa essere condivisa e resa più efficace dal contributo di esperienza delle persone che lavorano, in particolare degli RLS e degli RLST, tenendo conto della specificità di ogni singola realtà produttiva e delle situazioni territoriali. Protocollo di sicurezza anti-contagio, deve essere calato in ogni realtà lavorativa, che stia svolgendo le attività o che sia in riavvio.

La prima azione, da parte del datore di lavoro, è quindi quella di promuovere la costituzione del Comitato di controllo, anche nelle realtà lavorative nelle quali non vi è la presenza sindacale, al fine di porre in essere una tutela adeguata per tutti gli occupati per il contrasto al contagio al Covid-19.

Questo è il principale strumento nell’incentivazione e nell’applicazione di tali regole, in tutti i contesti lavorativi.

Il Comitato, servirà ad accompagnare in modo adeguato il passaggio dalla fase emergenziale, alla così detta fase2, nella gestione ordinaria del problema, predisponendo tutti ad un cambiamento che dovrà avere un carattere di approccio permanente, diventando, come sono le attuali norme per la sicurezza sul lavoro,un modus operandi acquisito e automatico.

circolare_2_maggio_2020

 

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