NULLITA’ DELLE FIDEIUSSIONI: Sentenza della Cassazione sulla redazione degli atti secondo schema ABI
La Corte di Cassazione con la sentenza n.13846 del 2019, segna una chiara continuità con le numerose sentenze di merito che, negli ultimi mesi, hanno ritenuto sanzionabile le fideiussioni predisposte secondo lo schema ABI, ritenuto frutto di un’intesa anticoncorrenziale, si ricorda il Tribunale di Bolzano del 19.12.18; Tribunale di Siena del 14.5.19
Nel caso di specie la Corte di Appello di Brescia respingeva, infatti, la domanda osservando come, dall’analisi testuale del provvedimento emesso dalla Banca d’Italia, si evidenziasse che la procedura avviata non si era conclusa con una diffida o in una sanzione .
Tuttavia la Suprema Corte prendendo, in maniera chiara ed analitica, le distanze da tale interpretazione afferma, che la Corte è incorsa in un errore giuridico: “quel che rileva è, dunque, l’accertamento dell’intesa restrittiva da parte della Banca d’Italia: non il fatto che, in dipendenza di tale accertamento, siano state pronunciate diffide o sanzioni. Infatti, ciò che assumeva rilievo dirimente, nella controversia portata all’esame della Corte di Brescia, era la presenza o meno di un’intesa tra le imprese il cui oggetto fosse quello di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale”.
La domanda proposta dal ricorrente avanti alla Corte di appello di Brescia risulta basarsi, sull’esistenza di una intesa restrittiva della libertà di concorrenza ex art. 2 I. n. 287/1990. La prospettiva dell’azione intrapresa è
quella additata dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il contratto cosiddetto «a valle» costituisce lo sbocco della suddetta intesa, essenziale a realizzarne gli effetti. Infatti, tale contratto, oltre ad estrinsecare l’intesa, la attua: come è stato spiegato, la ratio della nullità ai sensi dell’art. 33 della I. n. 287 del 1990 è quella «di togliere alla volontà anticoncorrenziale ‘a monte’ ogni funzione di copertura formale dei comportamenti ‘a valle’» (Cass. Sez. U. 4 febbraio 2005, n. 2207, in motivazione).
L’attore — ricorda la sentenza impugnata — ha invocato a fondamento della pretesa azionata il provvedimento del 2 maggio 2005 della Banca d’Italia, cui, prima della modifica apportata dall’art. 19, comma 11, I. n. 262/2005, spettava
l’accertamento delle infrazioni di cui al nominato art. 2 che si assumessero essere poste in atto dalle aziende di credito. Per quanto qui specificamente interessa, nel richiamato provvedimento della Banca di Italia era disposto: «Gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90».
Per la Cassazione, infatti, quel che assume rilievo, ai fini della predicata inefficacia delle clausole del contratto di fideiussione, di cui agli artt. 2,6,8 è, all’evidenza, il fatto che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita.
Il secondo errore in cui è incorsa la Corte di appello si rinviene nell’affermazione per cui non sarebbe provato che, contravvenendo a quanto prescritto dalla Banca d’Italia, l’ABI avesse egualmente diffuso il testo delle condizioni generali del contratto di fideiussione contenente le clausole che costituivano oggetto dell’intesa restrittiva.
Tale circostanza non è difatti decisiva. Quel che assume rilievo, ai fini della predicata inefficacia delle clausole del contratto di fideiussione di cui agli artt. 2, 6 e 8 è, all’evidenza, il fatto che esse costituiscano lo sbocco dell’intesa vietata, e cioè che attraverso dette disposizioni si siano attuati gli effetti di quella condotta illecita, come rilevato dalla cit. Cass. Sez. U. 4 febbraio 2005, n. 2207 (cfr. in tema anche Cass. 12 dicembre 2017, n. 29810, secondo cui ai fini dell’illecito concorrenziale di cui all’art. 2 della I. n. 287 del 1990, rilevano tutti i contratti che costituiscano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in epoca anteriore all’accertamento della loro illiceità da parte dell’autorità indipendente preposta alla regolazione di quel mercato). Ciò che andava accertata, pertanto, non era la diffusione di un modulo ABI da cui non fossero state espunte le nominate clausole, quanto la coincidenza delle convenute condizioni contrattuali, di cui qui si dibatte, col testo di uno schema contrattuale che potesse ritenersi espressivo della vietata intesa restrittiva: giacché, come è chiaro, l’illecito concorrenziale poteva configurarsi anche nel caso in cui l’ABI non avesse contravvenuto a quanto disposto dalla Banca d’Italia nel provvedimento del 2 maggio 2005, ma la Banca avesse egualmente sottoposto all’odierno ricorrente un modulo negoziale includente le disposizioni che costituivano comunque oggetto dell’intesa di cui all’art. 2, lett. a), I. n. 287/1990.
Il giudice del rinvio, cui è devoluta la decisione sulle spese processuali del giudizio di legittimità, dovrà conformarsi al seguente principio di diritto: «In tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 I. n. 287/1990, con particolare riguardo a clausole relative a contratti di fideiussione da parte delle banche, il provvedimento adottato dalla Banca d’Italia prima della modifica di cui all’art. 19, comma 11, I. n. 262/2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante per la Concorrenza, una elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano pronunciate, e il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione, o non attuazione, della prescrizione contenuta nel provvedimento amministrativo con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario».
Alla luce del principio sopra espresso, appare chiaro che sarà sicuramente più semplice l’onere della prova di colui che vorrà eccepire la nullità delle clausole del contratto fideiussorio conforme a quelle sanzionate dal provvedimento della Banca d’Italia del 2.05.2005. Infatti basterà dimostrare che le clausole contenute nella fideiussione siano conformi a quelle menzionate nel provvedimento della Banca d’Italia, per eccepirne la nullità per la violazione della normativa anticoncorrenziale.
Resta tuttavia non chiarita la conseguenza dell’eventuale declaratoria di nullità delle dette clausole tra i due principali orientamenti che vedono la nullità dell’intero contratto contrapporsi alla nullità parziale con la sopravvivenza del contratto in forza del principio generale di conservazione del negozio giuridico.
Avv Monica Mandico Avv. Fabio Nobili
Sentenza Cassazione – Nullità fideiussioni redatte su schema ABI