La responsabilità medica e la legislazione vigente: tra illusioni e false speranze
Le disposizioni in materia di responsabilità professionale dei medici e più in generale del personale sanitario operante nel pubblico e nel privato, richiedono una polizza a copertura della responsabilità civile, seguendo le indicazioni della riforma delle professioni. Stessa indicazione vale per le aziende legate al Servizio Sanitario Nazionale, incluse le strutture e gli enti privati che operano in regime autonomo o di accreditamento.
La legge 24/2017 è intervenuta in modo sostanziale nel concetto di responsabilità civile del professionista.
Mentre da una parte è stata lasciata invariata la responsabilità della struttura sanitaria, la responsabilità del medico è stata ridimensionata.
L’articolo 7 specifica infatti che è la struttura sanitaria a rispondere delle condotte dolose o colpose del professionista che opera al suo interno, anche se non in qualità di dipendente, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile.
Con l’approvazione del decreto Lorenzin di riforma degli ordini professionali e delle sperimentazioni cliniche, anche la materia della responsabilità medica, ha subito delle novità.
In particolare, queste riguardano le linee guida che dovranno orientare l’attività degli esercenti le professioni sanitarie che eseguono prestazioni con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale.
Un’ulteriore novità riguarda i casi di accoglimento della domanda di risarcimento che il paziente ha proposto nei confronti della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o dell’esercente la professione sanitaria. Tale risarcimento può al massimo essere il triplo del valore maggiore della retribuzione lorda o del corrispettivo convenzionale conseguiti nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo.
Viene inoltre modificato anche il limite della misura della rivalsa e della surrogazione richiesta dall’impresa di assicurazione, oggi pari al triplo del valore maggiore del reddito professionale, compresa la retribuzione lorda, conseguito nell’anno di inizio della condotta causa dell’evento o nell’anno immediatamente precedente o successivo.
Si allunga, poi, il termine concesso alle strutture sanitarie e sociosanitarie e alle imprese di assicurazione per comunicare all’esercente la professione sanitaria l’instaurazione del giudizio promosso nei loro confronti dal danneggiato.
La legge Lorenzin lo ha portato a quarantacinque giorni, concedendo quindi tutto il tempo per eseguire i necessari accertamenti e non turbare immotivatamente la serenità dei medici.
La legge inoltre, conferisce al Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria, la funzione di agevolare l’accesso alla copertura assicurativa da parte degli esercenti le professioni sanitarie che svolgono la propria attività in regime libero-professionale.
Si può comunque dire che il ddl Gelli ha alleggerito la responsabilità penale del medico, che dovrà rispondere di omicidio colposo o lesioni personali colpose solo in caso di colpa grave, ossia in caso si dimostri abbia agito contro le linee guida stabilite dall’Istituto Superiore di Sanità e le buone pratiche clinico-assistenziali.
Sono intanto più di trentaseimila le azioni legali, che ogni anno vengono intentate contro medici e strutture sanitarie. Il 95 per cento di quelle che si concludono nel penale e il 70 per cento del civile finiscono col proscioglimento.
La maggioranza delle cause si chiudono però riconoscendo al medico una condotta diligente e il problema è che nel frattempo la vicenda giudiziaria condiziona l’attività del professionista che attua la strategia della medicina difensiva.
Vale a dire, una richiesta maggiore di accertamenti preventivi e a volte il rifiuto di operare se l’intervento comporta rischi ritenuti eccessivi.
La disciplina che ha creato la fabbrica del contenzioso ha necessità di essere normata in modo efficace. No alle pubblicità ingannevoli che gettano un’ombra sul lavoro, sia dei medici, inducendo i pazienti a diffidare del loro operato, ma mettono in cattiva luce anche gli avvocati, la cui maggioranza, seguendo le condotte deontologiche, non aspira certo a lucrare sulle disgrazie e sulla salute dei malati.
Il rapporto di guerra che si vuole instaurare tra medici e pazienti, impedisce uno svolgimento delle attività professionali in modo sereno.
Purtroppo, la medicina difensiva costa al sistema sanitario italiano un miliardo di euro al mese.
Per abbreviare i tempi di risoluzione delle controversie è stato introdotto anche l’obbligo di provare una conciliazione stragiudiziale prima di proporre in tribunale un caso di responsabilità medica.
Chi ha subito un danno può procedere alla richiesta di indennizzo diretto sia presso l’ente ospedaliero che presso il medico o in ultimo direttamente presso la compagnia assicuratrice della struttura o del professionista. Il disegno di legge promuove l’introduzione di un Fondo di Garanzia che intervenga nel risarcimento dei pazienti in caso di massimali assicurativi inadatti al rimborso di quanto dovuto o in altri casi di insolvenza della compagnia assicuratrice.
Le tipologie di danno risarcibile in conseguenza di responsabilità medica sono molteplici e ricomprendono quello derivante da errore diagnostico, quello derivante da errore terapeutico, quello derivante da omessa vigilanza e così via.
A seguito della legge Gelli (legge n. 24/2017), la responsabilità civile del sanitario è stata definita in maniera chiara e differente a seconda che debba essere ascritta a coloro che operano presso una struttura sanitaria (a qualsiasi titolo) o alla struttura sanitaria, sia essa privata che pubblica.
In particolare, le strutture, rispondono a titolo di responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze che ne derivano i termini di onere probatorio e di prescrizione (che è quinquennale per la responsabilità extracontrattuale e decennale per la responsabilità contrattuale).
I pazienti che sono vittima di errori da parte dei sanitari che li hanno avuti in cura, quindi, possono rivolgersi al giudice per poter ottenere il risarcimento del pregiudizio subito, ovviamente dopo aver valutato con dei professionisti l’effettivo rapporto di causalità tra il danno e un operato non corretto del sanitario.
La procedura giudiziale, a seguito della riforma del 2017 è sempre subordinata al preventivo espletamento di una C.T.U., nominata dal tribunale, per accertare in via preliminare se c’è ed è quantificabile, la responsabilità medica.
La perizia, diverrà un sostegno valido per trovare un accordo oppure per decidere se intraprendere o meno il giudizio vero e proprio.
In alternativa, le parti possono ricorrere al procedimento di mediazione, con l’assistenza obbligatoria di un avvocato, per la definizione stragiudiziale della controversia.
Solo una volta esperita una di queste due procedure, il paziente potrà rivolgersi al giudice per ottenere il risarcimento del danno. In ogni caso, al paziente viene data la possibilità di agire direttamente nei confronti dell’impresa di assicurazione che presta copertura alla struttura sanitaria o sociosanitaria interessata o al sanitario.
Se l’Assicurazione per la responsabilità medica manca, i pazienti possono ricorrere a un apposito Fondo che dovrebbe operare anche nel caso in cui i massimali assicurativi sono inferiori rispetto al risarcimento dovuto ai pazienti o nel caso in cui l’impresa presso la quale la struttura sanitaria o il medico sono assicurati si trova in stato di insolvenza o di liquidazione coatta amministrativa.
L’importanza della copertura assicurativa nel mondo sanitario è stata ancor più di recente ribadita dalla riforma Lorenzin di fine 2017, che ha affidato nuovi compiti al Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria, conferendogli l’ulteriore funzione di agevolare l’accesso alla copertura assicurativa da parte di coloro che svolgono una professione sanitaria in regime libero-professionale.
Bisogna dire però che non è vero che sia stato introdotto un obbligo di assicurazione per le Strutture Sanitarie.
Infatti, la norma ha previsto che le strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private debbano essere provviste di copertura assicurativa per la responsabilità civile verso terzi e verso prestatori d’opera, “o di altre analoghe misure“.
La previsione dell’obbligo di assicurazione, dunque, riveste natura meramente formale, in quanto la Struttura Sanitaria ha facoltà di optare per altre misure di gestione della responsabilità medico-sanitaria, in conformità a prassi già instaurate prima dell’entrata in vigore della legge 24/2017, quali la creazione di “fondi destinati” ed altri sistemi di “autoritenzione” del rischio assicurativo.
Il fatto è, tuttavia, che non esistono misure analoghe all’assicurazione per la gestione del rischio sanitario. Un “fondo destinato” non è una garanzia e non elimina il rischio di insolvenza del debitore.
Il rischio di insolvenza viene superato solo con un contratto di assicurazione. Pertanto, la previsione della possibilità di scegliere misure alternative all’assicurazione svuota, la portata precettiva della norma che intenderebbe imporre alle Aziende Sanitarie l’obbligo assicurativo.
Ma a due anni di distanza dall’approvazione del provvedimento normativo, nessuno dei regolamenti attuativi previsti dall’art. 10 legge 24/2017 risulta emanato.
In particolare:
– non è stato emanato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, per definire criteri e modalità per la vigilanza e il controllo dell’IVASS sulle imprese di assicurazione che intendano operare in ambito sanitario (art. 10, comma 5, legge 24/2017);
– non è stato emanato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, che dovrebbe determinare i requisiti minimi delle polizze assicurative e le condizioni generali di operatività delle altre analoghe misure, anche di assunzione diretta del rischio (art. 10, comma 6, legge 24/2017);
– non è stato emanato il decreto del Ministro dello sviluppo economico, per individuare i dati relativi alle polizze di assicurazione stipulate e alle altre analoghe misure (art. 10, comma 7, legge 24/2017).
Le Strutture Sanitarie oggi, possono decidere, di assicurarsi, come di non assicurarsi; di operare in autoritenzione del rischio, con o senza l’accantonamento di un “fondo destinato”: nessuno potrà mai sindacare la legittimità di queste scelte, e nessuna sanzione potrà mai essere applicata laddove dette scelte si rivelassero irrazionali.
Le Aziende Sanitarie omettono ingiustificatamente il pagamento di somme cui sono state condannate, foss’anche con sentenza passata in giudicato, costringendo talvolta gli aventi diritto ad intraprendere onerosi giudizi.
Questo in forza del disposto (richiamato dalla stessa legge “Gelli” all’art. 10, comma 6, ultimo periodo) dell’art. 1, comma 5, del d.l. 18/01/1993, n. 9, il quale cita:
- “Le somme dovute a qualsiasi titolo alle aziende sanitarie locali e ospedaliere e agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico non sono sottoposte ad esecuzione forzata nei limiti degli importi corrispondenti agli stipendi e alle competenze comunque spettanti al personale dipendente o convenzionato, nonché nella misura dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell’erogazione dei servizi sanitari […]. A tal fine l’organo amministrativo dei predetti enti, con deliberazione adottata per ogni trimestre, quantifica preventivamente le somme oggetto delle destinazioni previste nel primo periodo”.
Sono senza attuazione anche le due previsioni, potenzialmente assai significative, in materia di azione diretta e di Fondo di garanzia.
L’art. 12 legge “Gelli” prevede, come noto, che il soggetto danneggiato abbia diritto di agire direttamente, entro i limiti del massimale, nei confronti dell’impresa di assicurazione, ma detta disposizione non può ancora dispiegare la propria efficacia, perché dovrebbe entrare in vigore con l’approvazione del decreto ministeriale di cui al comma 6 dell’articolo 10, che allo stato – come detto – non è stato emanato.
L’art. 14 legge “Gelli” ha inoltre disposto l’istituzione di un “Fondo di garanzia per i danni derivanti da responsabilità sanitaria”, alimentato dal versamento di un contributo annuale dovuto dalle imprese assicuratrici operanti nel ramo, destinato a risarcire il danno in caso di esubero rispetto al massimale assicurativo, di insolvenza della compagnia, o di assenza di copertura assicurativa.
Di tale Fondo, tuttavia, non si sa nulla: nessuno dei decreti ministeriali che lo riguardano è stato emanato ed è pertanto ancora inoperante (vi è traccia solo di un disegno di legge al momento al vaglio della conferenza delle Regioni Schema di Dlgs inviato alla Conferenza delle Regioni)
Quindi, nel business mosso nei confronti delle eventuali colpe del Sistema Sanitario, delle strutture operanti, siano esse pubbliche o private, ma ancor di più, all’attacco indiscriminato dei medici, coloro che seguono la strada, come in una specie di corsa all’oro, molte volte non trovano altro che piombo.
Avv. Monica Mandico Avv. Martina Polidoro