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La moglie sceglie il part time e la Cassazione riduce l’assegno di mantenimento al marito

(Corte di Cassazione I Sez Civ. – Decisione: Numero sezionale 2968/2021- Numero di raccolta generale 23318/2021 – Data pubblicazione 23/08/2021- Presidente : Francesco Antonio Genovese

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 23318 del 23 agosto 2021, ha accolto con rinvio, uno dei motivi sollevati dall’ex marito (in qualità di controricorrente) a carico del quale era stato posto un assegno di 600 euro in favore della moglie ed un altro di pari importo per la figlia maggiorenne studentessa non autonoma economicamente. Va da sé che il coniuge che decide di  lavorare part time, pur avendo un contratto a tempo indeterminato, può subire poi gli effetti di una  riduzione sulla quantificazione dell’assegno di divorzio.

Il tutto parte dal Tribunale di Terni, dopo aver pronunciato, con sentenza non definitiva del 26 maggio 2015, la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto pose a carico dell’uomo l’obbligo di corrispondere un assegno divorzile di Euro 900,00 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo l’indice Istat, nonché l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 600,00, anch’esso annualmente rivalutabile, e mediante la partecipazione alle spese straordinarie nella misura dei quattro quinti.

L’impugnazione proposta dal predetto marito avverso la seconda sentenza è stata parzialmente accolta dalla Corte d’Appello di Perugia, che con sentenza del 12 novembre 2019 ha ridotto ad Euro 600,00 mensili, annualmente rivalutabili, l’importo dell’assegno divorzile, decorrente dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, condannando la donna alla restituzione delle somme ricevute in eccesso. La Corte d’Appello ha  tenuto conto del reddito di entrambi i coniugi/genitori,  del maggior guadagno dell’uomo, colonnello della Guardia di Finanza, che percepiva 4.400 euro mensili contro i 1.400 della moglie, oltre alla complessiva condizione patrimoniale delle parti. Secondo il ricorrente tuttavia nell’escludere l’adeguatezza dei mezzi economici a disposizione della ex moglie, la sentenza impugnata non aveva invece tenuto conto della “scelta di lavorare a tempo parziale, e della conseguente possibilità di ottenere emolumenti aggiuntivi attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativa a tempo pieno”.

Ai fini del riconoscimento del diritto all’assegno, è ormai consolidato l’orientamento degli ermellini, secondo cui deve tenersi a  riferimento

a)la funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa e perequativa di tale contributo;

b)la verifica dell’inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente e dell’incapacità di procurarseli per ragioni obiettive.

Il tutto richiede in primo luogo “una valutazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da condursi alla stregua degl’indicatori previsti dalla prima parte dell’art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970, in modo tale da accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale dei coniugi dipenda dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, quale fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche alla luce dell’età del coniuge richiedente e della conformazione del mercato del lavoro” (cfr. Cass., Sez. Un., 11/07/2018, n. 18287).

Nel caso di specie, nel  corso del giudizio di primo e secondo grado, è stato accertato che nei primi anni di matrimonio la donna si è dedicata “esclusivamente” alla famiglia, consentendo al coniuge di “fare carriera”, ma ha omesso d’individuare il “momento” in cui è maturata la decisione di trovare un’occupazione retribuita e le ragioni di questa scelta, nonché di verificare se la stessa sia stata compiuta in autonomia o concordata tra i coniugi e di stabilire “se l’attività lavorativa sia stata prestata a tempo parziale fin dall’origine”. “Qualora, infatti – prosegue il ragionamento -, la predetta scelta fosse riconducibile alla necessità di far fronte contemporaneamente alle esigenze della famiglia ed all’accudimento dell’unica figlia nata dall’unione, i relativi effetti n on potrebbero non essere tenuti in conto ai fini della determinazione dell’assegno”.

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