LEGGE SALVA-SUICIDI

ASSOCIAZIONE DIFESA CONSUMATORI E IMPRESE

In questo mio intervento desidero ricordare un piccolo imprenditore napoletano che, schiacciato dal peso dei debiti che incalzavano fino a convincerlo che «questa non è più vita», si è ucciso nel 2017.

Le parole scritte da Espedito Ferrara, poco prima di annodarsi una corda al collo, sono l’urlo di disperazione del 54enne napoletano che non riusciva più a far bilanciare i conti della sua piccola attività imprenditoriale. Prima di mettersi la fune al collo e salire su una piccola scaletta per lasciarsi morire, poco dopo le 20 di ieri, il commerciante ha impugnato la penna e sul foglio lasciato a pochi passi ha scritto e ripetuto per due volte: «Non sono un vigliacco».

Nella lettera piena di amore e di dolore, l’uomo che era proprietario di un negozio di articoli sportivi a Fuorigrotta, si è scusato con la moglie e i figli chiedendo loro perdono per il gesto ma dichiarando la sua sconfitta. «Troppe umiliazioni non ce la faccio più perdonatemi», si legge. Ed ancora è scritto: «Amo la vita ma questa non è più vita, ho sempre aiutato gli altri e non meritavo tutto questo».

Il 54enne ha lasciato la moglie e due figli, Ettore e Flora da cui aveva avuto anche dei nipotini. Dietro la disperazione del gesto del piccolo imprenditore c’è la vita di un 54enne che da sempre aveva lavorato nell’ambito del commercio, cominciando dalla strada e dalla vendita di gadget e magliette a concerti e feste di piazza per investire poi i suoi sacrifici aprendosi un vero negozio, prima a Pianura, dove era rimasto oggi solo un deposito, e successivamente a Fuorigrotta. La sua attività imprenditoriale, da dieci anni, aveva seguito una iperbole che negli ultimi mesi gli costava solo sacrifici e preoccupazioni. Da tempo, incombevano situazioni finanziarie di estrema difficoltà e tanti debiti, al punto che anche su Facebook i post tradivano il senso di malessere vissuto da Espedito. «Camminiamo su un filo sottilissimo che è il nostro equilibrio – si legge nel post dell’11 febbraio 2017 -. Ci si mette un’eternità per trovarlo e basta un niente, un gesto, una parola per far crollare tutto».

Studio Legale Mandico and Partners

Da qui è nata l’idea di riunire colleghi ed esperti con cui costituire l’Associazione Tutela Famiglie e Imprese con la funzione di affiancare I DEBITORI nella predisposizione di un accordo con i creditori, prevedendo anche un supporto psicologico per i più provati.

Ebbene il Sig. Ferrara avrebbe potuto riscattare il suo orgoglio se avesse parlato delle sue difficoltà economiche con una delle tante associazioni presenti sul territorio oppure se si fosse rivolto ad un avvocato o al proprio commercialista.

Probabilmente la sua piccola impresa era un impresa cosiddetta sotto soglia per cui non fallibile ed avrebbe potuto accedere ad una delle procedure di sovraindebitamento ottenendo infine l’esdebitazione.

Si tratta di valori contrapposti enormemente sbilanciati, la vita di una persona onesta e i debiti.

Dal 2008 la crisi economica ha mietuto molte vittime in tutta Italia, si tratta di persone oneste che certamente sarebbero state meritevoli di ottenere una seconda possibilità.

Purtroppo la disperazione ha colpito non solo piccoli imprenditori, agricoltori e professionisti ma anche Consumatori, dipendenti a causa di diversi fattori che hanno modificato le dinamiche sociali delle famiglie.

Padri che, a causa di perdita del lavoro, di separazioni, di malattie, di nascita di un figlio, non hanno più potuto provvedere al sostentamento della propria famiglia e di stessi.

A ciò hanno contribuito spesso banche e società finanziarie che, valendosi di opportune garanzie, hanno fornito credito senza verificare la sostenibilità da parte del finanziato, anzi applicando spesso tassi usurai o al limite dell’usura ed applicando spese consistenti sia in fase di prima erogazione che di rinegoziazione dei finanziamenti.

Ciò ha contribuito a generare una erosione delle retribuzioni, gravate in percentuali consistenti dei finanziamenti rimborsabili mediante la cessione del quinto dello stipendio e la delegazione di pagamento.

In questo particolare ambito, lasciando ad altra occasione gli approfondimenti in merito alla meritevolezza o non colpevolezza del piccolo imprenditore, vorrei soffermarmi sul concetto giuridico di meritevolezza nel piano del consumatore, su cui è chiamato ad esprimersi il gestore della crisi ed in seconda istanza il Giudice delegato alla procedura.

Il deposito del “piano del consumatore” previsto dalla Legge n. 3/2012, in ragione della peculiare sequenza del procedimento di omologazione, impone al Tribunale un’attenta indagine sulla diligenza adoperata dal consumatore nell’assunzione dei debiti c.d. volontari, di modo che l’accertamento giudiziale  compiuto alla luce del ricorso, della documentazione agli atti e della relazione dell’O.C.C. – della sua insussistenza per avere il consumatore contratto obbligazioni nella consapevolezza, sulla base di un giudizio prognostico, di non poterle adempiere, rende l’istante immeritevole di accesso alla procedura e deve condurre il Giudice a negare l’omologazione del piano proposto.

L’organo decidente non omologa il piano se esclude la sussistenza della “meritevolezza” in capo al consumatore, qualora quest’ultimo abbia assunto volontariamente le obbligazioni nella consapevolezza che non avrebbe mai potuto onorare gli impegni presi essendo questi ultimi sproporzionati rispetto all’entità delle sue entrate economiche.

Il Tribunale, una volta accertata la ricorrenza dei presupposti legali sia di accesso al piano del consumatore sia di contenuto della proposta in discorso, come prescritto dalle norme dettate in materia di “piano” (cfr. artt. 9, comma 3-bis e 12-bis, commi 1 e 3), si concentra, nella fase del contraddittorio successiva all’udienza fissata con decreto ex art. 12-bis, comma 1, sull’esame della diligenza adoperata dal consumatore nell’assumere volontariamente l’obbligazione causativa del suo stato di persistente sovraindebitamento.

Il legislatore, infatti, ha sostituito all’adesione alla proposta da parte di una data percentuale di creditori (cfr. per l’“accordo”l’art.11, comma 2) un penetrante sindacato del Tribunale avente ad oggetto, in particolare, la mancanza di colpevolezza del consumatore, secondo un meccanismo più snello, alieno dalle fasi tipiche delle tradizionali procedure concorsuali (fra le quali pure va annoverata quella in esame ex art.6, comma 1), rappresentate dalla partecipazione e dall’approvazione dei creditori. La ratio risiede, come illustrato nella Relazione governativa di accompagnamento alla Legge n.3/2012, nell’assenza di esigenze di conservazione di unità produttive (essendo il soggetto legittimato attivo solo il consumatore non imprenditore),cui fa da naturale contrappeso la riemersione del ruolo del giudice attraverso l’attribuzione allo stesso del rigoroso vaglio di cui si è detto, essendo il piano (unilateralmente predisposto dal consumatore con l’ausilio dell’O.C.C.), ove omologato, suscettibile di “imporsi” nelle sfere giuridiche dei creditori, determinando una ristrutturazione dell’originario debito senza il loro previo consenso.

La riprova dell’importanza attribuita al requisito in discorso nella risoluzione della fattispecie concreta è data dall’iter decisionale del Tribunale, dal quale si evince un accorpamento della triplice valutazione giudiziale imposta dall’art. 12 bis, comma 3 (riguardante)“fattibilità del piano”,)” idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento” di una serie di crediti, e ) insussistenza di aspetti di immeritevolezza sotto la lente prospettica, per l’appunto, della verifica della (assenza di) diligenza del consumatore, che a sua volta nel caso di specie ricomprende il giudizio sulla non sostenibilità del piano proposto ,con una inversione, quindi, dell’ordine legale di esame giudiziario dei tre profili appena indicati.

In altri termini, in alcuni casi il Giudice assegna al profilo più volte indicato un carattere, oltre che risolutivo, assorbente dei restanti due profili; e, in ossequio alla scansione valutativa temporalmente cadenzata dalla legge (cfr. art. 12-bis, commi 1, 3 e 4), a fronte della richiamata contestazione sulla convenienza del piano sollevata dall’Istituto di credito, l’Organo decidente, una volta ravvisata l’immeritevolezza del consumatore, non si sofferma ad effettuare il raffronto comparativo con l’alternativa rappresentata dalla terza procedura di composizione della crisi a carattere liquidatorio, prescritto dall’art. 12-bis, comma 4 (conosciuto anche  come “cram down”, sulla falsariga dell’analogo istituto del Chapter 11 dello United States Bankruptcy Code).

In ultima analisi, se il piano del consumatore è volto a garantire un recupero al consumatore incolpevole, consentendogli  un fresh start (con indubbi benefici, a cascata, per l’intero tessuto economico, in ossequio alla funzione sociale più in generale riconosciuta alle procedure della Legge n.3/2012 ed emergente in particolare dal collegamento teleologico fra il Capo I e il Capo II della stessa legge) è pur vero che la notevole compressione dei diritti dei creditori determinata dal piano impone di riconoscere un ruolo dirimente, rispetto all’omologazione del piano, al requisito della meritevolezza sub specie di diligenza del consumatore nell’assunzione dei debiti volontari causativi del suo stato di crisi da sovraindebitamento.

Si fa largo nella giurisprudenza di merito una dilatazione del controllo di meritevolezza esteso anche alla corretta valutazione della banca del merito creditizio ex art. 124 – bis del T.U.B.

Il controllo di meritevolezza, richiesto dall’art. 12-bis l. 3/2012 ai fini dell’omologa, non può prescindere dalla valutazione del contegno tenuto dal finanziatore al momento dell’erogazione, alla luce dell’obbligo di verifica del merito creditizio della clientela ai sensi dell’art. 124-bis t.u.b.

Ai sensi dell’art. 12-bis l. 3/2012, per procedere all’omologa del piano del consumatore, il giudice è chiamato non soltanto a verificare la fattibilità del piano e l’idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili e di quelli di cui all’art. 7, comma 1, terzo periodo, ma anche a valutare la meritevolezza del debitore, vale a dire che le obbligazioni pendenti non siano state assunte senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere o che il sovraindebitamento non sia stato colposamente determinato da un ricorso al credito sproporzionato rispetto alle proprie capacità patrimoniali.

In questo esame complessivo, non bisogna fermarsi all’osservazione della condotta della persona sovraindebitata. Occorre guardare anche dall’altra parte, cioè dal lato del creditore, per sgomberare il campo da dubbi su un suo possibile ruolo nella determinazione o nell’aggravamento dello stato di crisi della persona.

Per i creditori bancari, l’art. 124-bis t.u.b. impone che «prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore valuta il merito creditizio del consumatore.

Si tratta di un presidio della sana e prudente gestione, ma che si presta molto bene a svolgere un ruolo di rete di protezione della clientela. Il problema è che la violazione di questa disposizione non espone l’intermediario ad alcuna conseguenza sanzionatoria sul piano civilistico, a differenza di quel che accade in Francia, dove, ai sensi dell’art. L-341-2 del codice del consumo (Ordonnance n. 2016-301 del 14 marzo 2016), l’ipotesi della mancata o lacunosa valutazione del merito creditizio del cliente comporta il venir meno, in tutto o in parte, del diritto del finanziatore a esigere gli interessi.

Una parte della giurisprudenza, in particolare il Tribunale di Napoli Nord , con spiccato senso di equilibrio ritiene di potersi servire dell’art. 124-bis t.u.b. nell’interpretazione dell’art. 12-bis l. 3/2012, cercando di pervenire a una soluzione ragionevole del problema dell’equa ripartizione di benefici e sacrifici in corrispondenza di una conclamata crisi da sovraindebitamento.

Tenendo fermo che il giudizio circa l’ammissibilità e l’omologabilità del piano è rimesso unicamente alla valutazione del giudice, non essendo prevista la deliberazione del ceto creditorio ma soltanto una comunicazione preventiva, in presenza di contestazioni sulla convenienza del piano, l’omologa è possibile a condizione che si accerti che il credito possa essere soddisfatto in misura non inferiore all’alternativa liquidatoria ex art. 14-ter e ss. della medesima legge.

I consumatori, eccessivamente esposti nei confronti del ceto bancario e finanziario, spesso lo hanno fatto perché spinti «da stringenti necessità familiari e non ludico-edonistiche».

Altrettanto nitidamente, sono emerse condotte nient’affatto diligenti da parte delle società finanziarie nella fase di erogazione del credito. Le pretese economiche delle società finanziarie  derivavano sovente da finanziamenti erogati «con assoluta superficialità e in violazione di quanto previsto dall’art. 124-bis t.u.b.». Ove gli istituti finanziatori avessero «adeguatamente valutato il merito creditizio del debitore», avrebbero dovuto negare l’erogazione di altro credito.

Benché non siano previste sanzioni per l’inosservanza della norma imperativa contenuta nell’art. 124bis del TUB, nella complessiva economia e giustezza della valutazione di meritevolezza del consumatore appare equo valutare anche il comportamento delle banche che, come accaduto per i mutui sub prime, hanno spesso contribuito ad aggravare la situazione debitoria di famiglie e piccole imprese, soggetti ancora troppo vulnerabili in un rapporto che appare ancora troppo sbilanciato nei confronti delle banche che spesso decidono il destino di imprese ma anche di famiglie sovraesposte.

Il messaggio da trasmettere con ogni mezzo è che il debitore incolpevole ha il diritto di una seconda chance e la legge costituisce un presidio a quelle situazioni che fino al 2012 non trovavano in essa soluzione.

La vita ed il diritto alla vita costituiscono un bene che deve essere tutelato a tutti livelli e, in casi di eccessiva manipolazione dei clienti finanziati che non riescono più a pagare i debiti, si affacciano anche ipotesi di istigazione al suicidio che la magistratura inquirente comincia a guardare con attenzione.