La gestione dei rifiuti nelle aziende non sanitarie, potenzialmente contaminati COVID‐19

I rifiuti a rischio infettivo sono quei rifiuti che presentano un rischio biologico, nonché gli oggetti e i materiali da eliminare venuti a contatto con materiale biologico infetto o presunto tale. Questi rifiuti sanitari sono individuati dalle voci 180103* del Catalogo Europeo dei Rifiuti.
I contenitori, devono essere costituiti da un sacco interno di polietilene inserito in un contenitore esterno rigido e impermeabile, atti a contenere i rifiuti a rischio infettivo solidi e liquidi, identificabili mediante un codice colorato e la scritta “ rifiuti pericolosi a rischio infettivo” e il simbolo del rischio biologico.
Vi è ancora attesa di un provvedimento da parte dello Stato sul problema relativo ai rifiuti potenzialmente infetti dal CoVid, la circolare del Ministero della Salute n. 5443 del 22/02/2020 specifica che: “dopo l’uso, i DPi monouso vanno smaltiti come materiale potenzialmente infetto” anche l’uso non è per finalità sanitarie ma esclusivamente di pulizia dei locali non sanitari potenzialmente contaminati.
I DPI usati nei luoghi di lavoro devono essere gestiti come “rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo” disciplinati dal D.P.R. 254/2003. Questa tipologia di rifiuti, alla quale deve essere attribuito il codice CER/EER 18.01.03, è definita dall’articolo 2, comma 1, lettera g) come: “i rifiuti speciali, di cui al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 [oggi D. Lgs. 152/2006], prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, con le caratteristiche di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d), quali ad esempio quelli prodotti presso laboratori di analisi microbiologiche di alimenti, di acque, o di cosmetici, presso industrie di emoderivati, istituti estetici e similari. Sono esclusi gli assorbenti igienici”.
Se l’azienda sanifica gli ambienti di lavoro, o si avvale di azienda specializzata in tale operazione, la circolare del Ministero della Salute “COVID-2019 “Indicazioni e chiarimenti” del 24 febbraio 2020 specifica anche che questi rifiuti devono venir smaltiti secondo la dicitura seguente: “materiale infetto categoria B8 (ADR – UN 3291) e anche l’articolo 15 del DPR 254/2003, già richiamato, si esprime del resto in tal senso disponendo quanto segue:
“I rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera d), devono essere gestiti con le stesse modalità dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo”.
Lo stesso si può dire per il Rapporto ISS COVID-19 n.3/2020 che determina: “Per le imprese e gli enti diversi dalle strutture sanitarie la procedura di gestione da adottare è quella prevista per i rifiuti indicati all’articolo 15 del D.P.R. 254/2003”.
In tal senso anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa con un provvedimento:
“Qualora, dopo una valutazione dei rischi quanto più possibile completa tenuto conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi si trovi nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta, quest’ultimo deve essere classificato come rifiuto pericoloso”.
Sembrerebbe a questo punto chiaro, ma per esempio in alcune regioni, come Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, stanno gestendo con ordinanze specifiche, i rifiuti covid-19 prodotti in casa o in azienda, comunque in ambiente non sanitario, come rifiuti urbani indifferenziati, utilizzando la modalità del ‘doppio sacco’ così come tra l’altro indicato dall’Istituto Superiore di Sanità, disponendo, anche per i rifiuti aziendali, l’assimilazione ai rifiuti urbani, immessi nel ciclo indifferenziato, semplificando in tal senso la rigida ed anche dispendiosa, gestione del rifiuto speciale pericoloso a rischio infettivo.
Le relative Ordinanze hanno però provveduto ad innescare l’incertezza tra gli operatori che si vedono così investiti della responsabilità di questa valutazione.

dott. Mario Esposito