Cyberstalking: punito l’uso di FaceBook e WhatsApp
La giurisprudenza degli ultimi anni ha affermato che se le condotte producono un evento di danno o di pericolo, devono essere prese in considerazione come componenti della condotta persecutoria nel suo complesso.
Il reato di cyberstalking si realizza nel momento in cui gli atti persecutori vengono effettuati tramite l’utilizzo di mezzi di comunicazione, come la messaggistica istantanea dei cellulari e i social network.
Inviare reiteratamente sms, e-mail o post sui social network e diramare contenuti foto e video, spesso a luci rosse, proprio per la loro intrinseca proprietà diffusiva, si può tradurre in una condotta persecutoria particolarmente dannosa per la vittima.
Se si avvale poi di un profilo falso o utilizzando un nome inventato su chat ed e-mail, il persecutore non solo rende più difficile la sua “cattura”, ma particolarmente preoccupante il suo comportamento molesto e oppressivo.
Affinché si configuri il reato di stalking (art. 612 bis c.p), è necessario che la condotta presenti determinate peculiarità.
Come precisato già dalla Cassazione n. 17082/2015 essa deve, prima di tutto, produrre “un evento di ‘danno’ consistente nell’alterazione delle proprie abitudini di vita o in un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero, alternativamente, di un evento di “pericolo”, consistente nel fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva”.
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