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Composizione negoziata della crisi d’Impresa: primi orientamenti dei Tribunali sull’applicazione delle misure protettive

Le prime pronunce di merito sui ricorsi introdotti ai sensi dell’art. 7 D.L. n. 118/2021 per la conferma delle misure protettive, si stanno chiarendo i presupposti di accesso alla procedura di composizione negoziata della crisi di impresa.
E’ opportuno fare una doverosa premessa sulle misure protettive e sulla necessità di accedere alla composizione negoziata della crisi.
L’ultimo Atto Del Governo Sottoposto a Parere Parlamentare ha introdotto il Capo I dagli articoli 1 a 42 intitolato “Modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14” ed interviene sul Codice della Crisi. Tra le maggiori novità introdotte vi è appunto quella riguardante la durata delle misure protettive, e la necessità di accedere alla composizione negoziata della crisi di impresa. Come espressamente stabilito da un emendamento agli artt. 8 e 55 del CCII le misure protettive richieste dall’imprenditore nel corso delle trattative e fino alla omologazione del quadro di ristrutturazione o alla apertura della procedura di insolvenza, non possono avere complessiva durata superiore a dodici mesi, inclusi eventuali rinnovi o proroghe.
Preliminarmente sono previsti nuovi adeguati assetti organizzativi ex art. 2086 c.c. consistenti in misure obbligatorie per le imprese individuali, e gli assetti organizzativi, amministrativi e contabili per le imprese collettive idonei a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e all’assunzione senza indugio delle necessarie iniziative a farvi fronte. Allo scopo di intercettare la Crisi d’impresa come definita ex art. 2 lett. a) CCII.
Nel capo III poi, intitolato “Segnalazioni per l’anticipata emersione della crisi e programma informativo di verifica della sostenibilità del debito e di elaborazione di piani di rateizzazione”, è trasferita la disciplina delle segnalazioni da parte dell’organo di controllo societario (riversata, senza modifiche, nell’art. 25-octies).
Sono, confermati i presidi di allerta esterna: le segnalazioni che i creditori pubblici qualificati (Inps e Fisco, ed ora anche Inail) inviano all’imprenditore in presenza dei già noti livelli di esposizione debitoria dallo stesso maturato nei loro confronti (art. 25-novies), e gli obblighi di comunicazione all’organo di controllo posti in capo a banche ed intermediari finanziari di cui all’articolo 106 TUB in caso di variazioni, revisioni e revoche degli affidamenti all’impresa (art. 25-decies).
La composizione negoziata viene, con ciò, dotata di un meccanismo di segnalazioni provenienti sia dall’interno (organo di controllo) che dall’esterno (creditori pubblici qualificati e banche), che ha anche l’effetto di contribuire ad imporre all’imprenditore l’accesso tempestivo all’istituto.
La composizione negoziata della crisi che avrebbe dovuto essere facoltativa, di fatto diventa così quasi obbligatoria. Infatti, al materializzarsi dei definiti “segnali di allarme”, l’imprenditore, che non sia in grado di garantire comunque la continuità aziendale nei successivi 12 mesi sarà costretto a rivolgersi alla Camera di commercio per richiedere la composizione negoziata. Diversamente, ci potrebbero essere dei profili di responsabilità degli amministratori che, sembra, potrebbero addirittura essere chiamati a rispondere con il proprio patrimonio dei danni causati ai creditori.
Per ciò che concerne le misure protettive l’intero corpus della riforma risulta orientato ad apprestare maggiori strumenti di tutela alla continuità aziendale.
Quando però la decisione sulla conferma o sulla revoca delle suddette misure passa dalle Camere di Commercio ai Tribunali, in sede di volontaria Giurisdizione, la ratio stessa del controllo giudiziale successivo di cui all’art. 7 citato impone al giudicante una valutazione del fumus sulle prospettive che l’accesso alla procedura può determinare. Tale accorta valutazione appare necessaria, anche a fronte del sacrificio dei diritti soggettivi dei creditori che la procedura di composizione negoziata richiede e deve costituire un valido bilanciamento di interessi demandato all’autorità giudiziaria.
L’attenzione dei giudici di merito, nei primi mesi di applicazione della nuova disciplina, si è quindi concentrata sui requisiti oggettivi e soggettivi che consentono la prosecuzione della composizione negoziata e rendono quindi legittimo la prosecuzione delle misure protettive.
A tal punto è opportuno richiamare il novellato articolo 2086 c.c. secondo cui «L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale».
In sostanza, l’imprenditore, essendo considerato il capo dell’impresa, ha il dovere e la responsabilità di dotare la propria azienda di un’organizzazione efficiente sotto tutti i punti di vista (creazione di un organigramma, processi di gestione amministrativa e contabile) e che questo assetto sia anche in grado di rilevare in modo tempestivo i problemi e le crisi d’impresa.
Una volta che questi problemi sono stati rilevati, l’imprenditore deve immediatamente adottare uno dei provvedimenti previsti dalla legge per cercare di superare la crisi e fare in modo che l’azienda possa proseguire la sua attività regolare.

Il tutto è chiaramente funzionale al rilievo anticipato e alla conseguente gestione di situazioni di crisi incipiente, volta al risanamento e quindi alla ricostituzione dei presupposti economico-finanziari dell’attività d’impresa.
All’ organo giudicante si imporrà dunque di valutare quale sia il perimetro normativo del risanamento ragionevolmente perseguibile anche in rapporto alla conservazione della continuità aziendale. Vediamo alcune pronunce:
– L’ordinanza Tribunale di Viterbo 14.02.2022 (in causa n. 93/2022 V.g.) si è concentrata sulla necessità di prevedere, secondo un’analisi prognostica, le possibilità che, attraverso la prosecuzione della procedura di composizione negoziata, l’impresa possa essere risanata; valutata, sulla base degli elementi contabili a disposizione, la sussistenza di uno stato di “insolvenza risalente” non reversibile e ritenute del tutto carenti le previsioni del piano depositato ai sensi dell’art. 7 comma 2 lett. d) (DL 118/2021) Il giudice, ha disposto la revoca delle misure protettive e la segnalazione al Pubblico Ministero ai sensi dell’art. 7 legge fallimentare.
– Il Tribunale di Bergamo, con ordinanza di revoca delle misure del 15.02.2022 (in causa n. 203/2022 V.g.) ha giudicato impeditivo lo stato di liquidazione della società protratto per anni, affermando che “… si palesa un ossimoro l’accesso al procedimento da parte di una società in liquidazione, peraltro ormai da quasi dieci anni, senza che neppure sia dedotta (oltre che documentata) la sussistenza dei presupposti per la revoca della causa di scioglimento e dello stato di liquidazione. Rimane oscuro come … un’impresa in fase di chiusura liquidatoria dei rapporti possa vedere ripristinato un equilibrio economico-finanziario atto a resuscitarne la continuità, mettendola in condizione di produrre valore”.
– il Tribunale di Ferrara (ordinanza 21.03.2022 , in causa n 570/2022 V.g.), ha considerato inapplicabile la procedura delle misure protettive quando la finalità immediata sia solo la liquidazione dell’attivo con conseguente pagamento falcidiato dei creditori “… ed essendo la ripresa della continuità del tutto astratta e meramente ipotetica”.
– Il Tribunale di Arezzo 16.04.2022 (in causa n. 902/2022 V.g.) ha invece interpretato meno rigorosamente l’art. 2 comma 1 della normativa in commento estendendone l’applicabilità anche all’imprenditore in crisi o finanche insolvente.
A sostegno della propria conclusione, il giudice ha ritenuto che se il legislatore avesse voluto rendere tassativo il disposto dell’art. 2 comma 1 , si sostiene non avrebbe specificato che la pendenza di procedure concorsuali impedisce la negoziazione, né avrebbe previsto l’impossibilità di emettere sentenza dichiarativa pendente la negoziazione (impossibilità che evidentemente presuppone la possibile evenienza di un’insolvenza palese), né, infine, avrebbe dettato regole di condotta a tutela dei creditori.
Tanto premesso giudice ha posto l’attenzione sul concetto di risanamento, che conduce alla necessità di verificare, sia pure in sede sommaria, l’effettiva consistenza della crisi e il probabile sbocco che la composizione negoziata potrà avere, alla luce delle effettive potenzialità necessarie al superamento dello stato di crisi dell’impresa e alla permanenza della stessa nel mercato. Anche in questo caso, la prognosi del Tribunale è stata negativa e le misure protettive sono oggetto di revoca: “…ritiene il Tribunale che ad essere incompatibile con la composizione negoziata non è tanto lo stato di liquidazione societaria in sé considerato, quanto la sussistenza di un’insolvenza irreversibile e l’assenza di una concreta prospettiva di risanamento, inteso come riequilibrio finanziario e patrimoniale che consenta all’impresa di restare sul mercato, se del caso previa revoca dello stato di liquidazione”.
In conclusione, dovremmo aspettarci più rigore da parte dei Giudici nel verificare la sussistenza dei presupposti di accesso alla composizione negoziata, nel rispetto delle ragioni di fondo della nuova disciplina della crisi di impresa ovvero nel perseguimento della prevenzione, del risanamento e della reale prospettiva di prosecuzione dell’attività economica, nel bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti.