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BANCA PERDE PERCHÉ NON PROVA IL SUO CREDITO

Nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo il Tribunale di Bari ha accolto l’opposizione, veniva dichiarata la nullità del decreto ingiuntivo opposto, con condanna al pagamento delle spese di lite e di CTU.

La Banca cessionaria decide di proporre appello davanti alla Corte d’Appello di Bari avverso la predetta sentenza, ritenendo che la suddetta sentenza di primo grado andasse riformata.

IL CASO

L’appello proposto dalla Banca cessionaria avverso la sentenza di primo grado fondava le proprie motivazioni sulla erronea qualificazione giuridica del Giudice sulla prestazione offerta dalla debitrice, omettendo di valutare tutte le singole clausole contrattuali, soffermandosi unicamente sul solo art. 7 della convenzione. Lo stesso avrebbe anche omesso di valutare alcune delle eccezioni sollevate dalla Banca, aderendo senza alcuna valida motivazione alle tesi degli opponenti.

Si costituiva in giudizio la “debitrice”, la quale affermava l’inammissibilità dell’appello:

– dichiarare la violazione dell’art. 342 c.p.c.; il difetto di legittimazione della Banca cessionaria; deducendo in merito alla esatta qualificazione giuridica dei contratti sottoscritti e sulle vicende contrattuali.

LA DECISONE

Il Giudice designato, pertanto, dichiara inammissibile l’appello della Banca cessionaria, sulla base delle seguenti argomentazioni.

In via preliminare e pregiudiziale esamina l’eccezione sollevata dalla appellata, con cui viene contestata la legittimazione attiva della Banca cessionaria, in quanto i contratti oggetto di causa non sarebbero inclusi nell’ambito della cessione in blocco intervenuta tra le due Banche, ai sensi dell’art. 58 TUB. Mancando la prova circostanziata dell’intervenuta successione contrattuale, verrebbe meno la legittimazione processuale della cessionaria. A nulla varrebbe la attestazione allegata dalla appellante alla comparsa conclusionale, che andrebbe dichiarata inutilizzabile, perché tardivamente depositata e che la appellata disconosceva perché inidonea a provare la titolarità dei contratti per cui era causa in capo alla cessionaria.

Pertanto ad esse, ci si chiede se debba applicarsi l’art. 4 della legge n.130/1999, per cui la pubblicazione della notizia, richiamata anche dall’art.58 TUB ha la funzione di esonerare dalla notificazione stabilita in generale dall’art. 1264 C.c., sostituita dalla pubblicazione di un avviso sulla Gazzetta Ufficiale.

In tale quadro normativo, non di rado la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla prova processuale della avvenuta cessione del credito nell’ambito di una operazione di cartolarizzazione, rispetto a rapporti contestati, pervenendosi a pronunce anche difformi tra di loro. In alcune ipotesi si è ritenuto sussistere il difetto di titolarità del credito e conseguentemente il difetto di legittimazione ad agire del cessionario intervenuto nel processo pendente tra cedente e ceduto, proprio per il mancato raggiungimento della prova dell’intervenuta cessione; altre pronunce hanno ritenuto che la prova della cessione del credito potesse essere fornita, anche dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, anche dalla notifica dell’atto di precetto intimante il pagamento del credito ceduto, oppure, in sede di giudizio, mediante il deposito dell’atto d’intervento ex art. 111 c.p.c., adducendo la prova dell’esistenza del credito.

Nel caso di specie, non risulta in contestazione che la cedente abbia ceduto un insieme di crediti alla cessionaria, ma è contestato che in quel blocco di crediti fosse ricompreso quello dedotto in giudizio.

Si segnala, in argomento, l’ordinanza della S.C., VI Sezione, del 5 novembre 2020, n. 24798, per la quale, nel caso di contestazione in sede processuale del credito della cessionaria, occorre “dimostrare l’inclusione di quel credito nell’operazione di cessione attraverso prove documentali attestanti la propria legittimazione sostanziale”.

Nonostante il regime legislativo di favore per la cartolarizzazione dei crediti, chi agisce affermandosi successore a titolo particolare del creditore originario, in ragione di una cessione in blocco ex art. 58 TUB, ha l’onere di dimostrare l’inclusione del credito azionato nell’operazione di cessione, in modo da fornire la prova della propria legittimazione, salvo che il debitore intimato non abbia esplicitamente o implicitamente già riconosciuto la cessione. La Cassazione ha riconosciuto anche la possibilità di una dichiarazione ex post del creditore cedente, ovvero successiva alla pubblicazione sulla GU del contratto di cessione.

Come emerge dalla lettura degli atti di causa, infatti, la appellata ha contestato la titolarità in capo alla cessionaria del credito azionato, o meglio l’inclusione del credito nell’operazione di cessione in blocco, formulando una eccezione specifica, mirata ad affermare che il mero fatto della cessione di crediti in blocco, non oggetto di contestazione, non era sufficiente ad attestare che proprio il credito oggetto di causa fosse compreso tra quelli che erano stati oggetto di cessione.

Trattasi di una prova il cui onere incombeva all’appellante, la quale nella produzione di secondo grado ha esibito documentazione sufficiente ad attestare la propria qualità rispetto alla cedente, ma non per la vicenda specifica, limitandosi al deposito dell’avviso di cessione pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Orbene, la dichiarazione non appare sufficiente a sanare tale danno, non può avere valore probatorio.

La Suprema Corte ha più volte precisato, con pronunce antecedenti la data di proposizione del gravame, tali da non costituire mutato orientamento giurisprudenziale, che “la parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare della parte creditrice originaria, in virtù di un’operazione di cessione in blocco ex art. 58 d.lgs. n. 385 del 1998, ha l’onere di dimostrare l’inclusione del credito oggetto di causa nell’operazione di cessione in blocco, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta (v. Cass. n. 4116-16); ciò è stato detto con riferimento alla proposizione del ricorso per cassazione in luogo della parte originaria (e v. pure Cass. Sez. U n. 11650-06, citata dalla corte bresciana, e poi in termini generali, per le ipotesi di successione derivante da altro titolo, Cass. n. 9250-17 e Cass. n. 15414-17), e a maggior ragione ove sia in contestazione, fin dall’inizio del giudizio, la legittimazione sostanziale della parte che abbia azionato il credito”

Tale orientamento, che tende a contemperare le opposte esigenze delle parti, rispetto alla posizione di forza delle banche creditrici che possono avvalersi della procedura di cessione in blocco, risulta maggioritario presso i giudici di merito.

Pertanto, se da un lato è vero che la Società appellante ha documentalmente provato la propria legittimazione attiva, in quanto cessionaria dei crediti genericamente indicati nell’avviso di cessione pubblicato sulla GU in atti, dall’altro non ha provato la specifica inclusione del credito oggetto di causa in quelli oggetto di cessione, se non con la sola comparsa conclusionale e perciò tardivamente. A nulla rileva il deposito, con il fascicolo di secondo grado, di un estratto della Gazzetta Ufficiale, in assenza del contratto di cessione e di altri elementi positivi dai quali poter desumere l’inserimento del contratto per cui è causa in quelli oggetto di cessione perché rientrante tra le attività finanziarie deteriorate.

Tale conclusione appare maggiormente in linea con il recente indirizzo espresso dalla S.C. con sentenza Cassazione civile sez. I, 22/02/2022, (ud. 02/02/2022, dep. 22/02/2022), n. 5857, oltre a quanto stabilito, in merito alla prova della titolarità del diritto, dalle SU con sentenza 2951/2016.

CONCLUSIONE

Premesse tali argomentazioni, il Giudice ha dichiarato inammissibile l’appello per carenza di legittimazione sostanziale e titolarità del diritto di credito della cessionaria, condannando la Banca cessionaria al pagamento delle spese di lite, oltre rimborso forf, CPA ed IVA.

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