Applicazione dell’art.1815 c.c. agli interessi di mora: SENTENZA C.A. NAPOLI 6571/2019
Il dipartimento di diritto bancario dello studio Mandico&Partners, coordinato dall’Avv. Fabio Nobili, segnala un recentissima sentenza, emessa il 15.11.2019, dalla Corte di Appello di Napoli che rischia di inserirsi con forza in un dibattito, sempre più attuale, sulla natura degli interessi moratori e della loro applicazione al disposto di cui all’art. 1815 c.c..
La sentenza, particolarmente analitica nell’esposizione dei dati econometrici, chiarisce in prima istanza che “che esiste una netta diversità di causa e di funzione tra interesse corrispettivo ed interesse moratorio. L’interesse corrispettivo costituisce la remunerazione concordata per il godimento diretto di una somma di denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta; l’interesse di mora, secondo quanto previsto dall’art. 1224 c.c., rappresenta invece il danno conseguente l’inadempimento di un’obbligazione pecuniaria. Secondo la regola generale “nelle obbligazioni che hanno per oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi in misura superiore a quella legale, gli interessi moratori sono dovuti nella stessa misura. Al creditore che dimostra di aver subito un danno maggiore spetta l’ulteriore risarcimento. Questo non è dovuto se è stata convenuta la misura degli interessi moratori” (art. 1224 c.c.).”Come si vede, Il comma 2 dell’art. 1224 c.c. afferma che ii saggio degli interessi moratori possa essere convenuto fra le parti e, in tal caso, non è dovuto l’ulteriore risarcimento. La determinazione convenzione del saggio dell’interesse “integra, pertanto, gli estremi di una clausola penale, in quanto costituisce una predeterminazione anticipata, presuntiva e forfettaria del danno risarcibile (art. 1382 c.c.). è dunque chiaro che i presupposti per la percezione degli interessi moratori sono ben diversi da quelli degli interessi corrispettivi” (Cass. Civ., Sez. Ili, sent. del 17 ottobre 2019, n. 26286). Ad ogni modo, gli interessi corrispettivi del mutuo n. 11576 per cui è causa venivano convenuti dalle parti, ai sensi dell’art.3 del citato contratto, sulla base del tasso di interesse del 3,75%, annuo nominale, soggetto a variazione. Alla voce “Norme generali del contratto di Mutuo Fondiario”, ancora, si prevedevano, in caso di ritardato o mancato pagamento anche di una sola rata e, comunque, su ogni somma contrattualmente dovuta dal mutuatario in dipendenza del contratto, interessi di mora nella misura annua pari al tasso applicato al mutuo, maggiorato di due punti percentuali. Si evidenzia, pertanto, in CTU (p. 8) “poiché il tasso iniziale al momento della stipula del contratto era pari al 3,75% si deduce che il tasso di mora pattuito contrattualmente è pari al 5,75%”. Poi, successivamente, in maniera granitica chiarisce che “per quanto riguarda, invece, gli interessi di mora, premesso che è da considerarsi sempre nullo il patto col quale si convengano interessi convenzionali moratori che, alla data della stipula, eccedano il tasso soglia di cui all’art. 2 della I. 7.3.1996 n. 108, relativo al tipo di operazione cui accede il patto di interessi moratori convenzionali (v. Cass. Civ., Sez. Ili, ordinanza 30/10/2018 n.27442), le conclusioni del CTU evidenziano come il tasso di mora in esame sia stato pattuito nella misura del 5,75%. Si legge a p. 20 della relazione peritale: “dal confronto con i tassi soglia risulta evidente che il suddetto tasso di mora risulta essere leggermente superiore del tasso soglia che, per la categoria dei mutui a tasso variabile per il periodo di applicazione 1 ottobre-31 dicembre 2005, ammonta ai 5,73% (3,82% +1,91%)”. Giova in ogni caso ricordare che la Corte di Cassazione non ha mai dubitato dell’applicabilità del “tasso soglia” anche alla pattuizione degli interessi moratori (Sez. 6-1, Ordinanza n. 5598 del 06/03/2017, Rv. 643977; Sez. 3, Sentenza n. 9532 del 22/04/2010, Rv. 612455; Sez. 3, Sentenza n. 5324 del 04/04/2003, Rv. 561894; Sez. 1, Sentenza n. 5286 del 22/04/2000, Rv. 535967) e che in senso analogo, peraltro, si è pronunciata anche la Corte costituzionale (Corte Cost., Sentenza n. 29 del 2002).
Infine, chiarendo che l’invalidità della pattuizione, comminata dall’art. 1815 c.c., comma 2, si sovrappone al rimedio della reductio ad aequitatem, comunque possibile per gli interessi convenzionali di mora, la Corte, afferma che “nel mutuo per cui è causa venivano convenuti interessi usurari; ed è altrettanto chiara la legge allorché stabilisce, all’ultimo periodo della norma di cui all’art. 1815, co. Il, c.c., che “la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”. Attraverso tale formulazione, il legislatore adotta una linea decisamente severa, in quanto stabilisce una sorta di sanzione che converte il mutuo a tassi usurari in mutuo gratuito. L’usura oggettiva, la quale, come si è visto, determina la gratuità dell’intero rapporto di mutuo, si verifica anche laddove soltanto i tassi moratori, e non anche i corrispettivi, singolarmente considerati, superino il tasso soglia”.
Adesso gli addetti ai lavori auspicano che tale sentenza possa correttamente indirizzare un orientamento giurisprudenziale di merito troppo spesso difforme da quello di legittimità.
F.N.
Corte-di-Appello-di-Napoli-sentenza-n.-5497-del-15-novembre-2019
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Fabio Nobili
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